Aminta (Classici) (Italian Edition) by Tasso Torquato

Aminta (Classici) (Italian Edition) by Tasso Torquato

autore:Tasso, Torquato [Tasso, Torquato]
La lingua: ita
Format: epub
editore: BUR
pubblicato: 2015-09-02T22:00:00+00:00


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

SATIRO solo

Picciola è l’ape, e fa col picciol morso

725pur gravi e pur moleste le ferite;

ma qual cosa è più picciola d’Amore,

Il secondo atto è l’unico ad articolarsi in tre scene; le due dialogate sono infatti precedute dal solo monologo del dramma, pronunciato dal Satiro: a testimonianza della natura del tutto particolare del personaggio, «l’Altro per eccellenza» (Zatti 1997, p. 141), isolato sulla scena in quanto incapace di dialogo e non accettato nel consesso sociale. Maier, p. 128, elenca le numerose ascendenze letterarie del Satiro tassiano: oltre alle pastorali ferraresi cinquecentesche (un monologo di un satiro si legge ad esempio in Beccari, Sacrificio, II 160-198), queste risalgono a Castiglione, Sannazaro, Lorenzo de’ Medici, al Virgilio bucolico, fino al ciclope sofferente per amore di Teocrito, Idyll., VI e XI e di Ovidio, Met., XIII 789-869. Rispetto a Polifemo o ai propri omologhi delle fonti, tuttavia, il Satiro aminteo, pur mantenendo le caratteristiche ferine che appartengono alla tradizione, mette in mostra anche una certa attitudine riflessiva: perciò la violenza che egli progetta di usare a Silvia non appare frutto della pura pulsione istintuale, bensì punto d’approdo di un preciso ragionamento. Si aggiunga qui per inciso che il suo discorso figura tra i brani del dramma messi in musica nel 1594 dall’urbinate Simone Balsamino (Chegai 1993).

se in ogni breve spazio entra, e s’asconde

in ogni breve spazio? or sotto a l’ombra

de le palpebre, or tra’ minuti rivi

730d’un biondo crine, or dentro le pozzette

che forma un dolce riso in bella guancia;

e pur fa tanto grandi e sì mortali

e così immedicabili le piaghe.

Ohimè, ché tutte piaga e tutte sangue

735son le viscere mie; e mille spiedi

ha negli occhi di Silvia il crudo Amore.

Crudel Amor, Silvia crudele ed empia

più che le selve! Oh come a te confassi

tal nome, e quanto vide chi te ’l pose!

740Celan le selve angui, leoni ed orsi

dentro il lor verde: e tu dentro al bel petto

nascondi odio, disdegno, ed impietate,

fere peggior ch’angui, leoni ed orsi:

ché si placano quei, questi placarsi

745non possono per prego né per dono.

Ohimè, quando ti porto i fior novelli,

tu li ricusi, ritrosetta: forse

perché fior via più belli hai nel bel volto.

Ohimè, quando io ti porgo i vaghi pomi,

750tu li rifiuti, disdegnosa: forse

perché pomi più vaghi hai nel ben seno.

Lasso, quand’io t’offrisco il dolce mele,

tu lo disprezzi, dispettosa: forse

perché mel via più dolce hai ne le labra.

755Ma, se mia povertà non può donarti

cosa ch’in te non sia più bella e dolce,

me medesmo ti dono. Or perché iniqua

scherni ed abborri il dono? non son io

da disprezzar, se ben me stesso vidi

760nel liquido del mar, quando l’altr’ieri

taceano i venti ed ei giacea senz’onda.

Questa mia faccia di color sanguigno,

queste mie spalle larghe, e queste braccia

torose e nerborute, e questo petto

765setoso, e queste mie velate cosce

son di virilità, di robustezza

indicio: e se no ’l credi, fanne prova.

Che vuoi tu far di questi tenerelli

che di molle lanugine fiorite

770hanno a pena le guance? e che con arte

dispongono i capelli in ordinanza?

Femine nel sembiante e ne le forze

sono costoro. Or di’ ch’alcun ti segua

per le selve e pe i monti, e ’ncontra gli orsi

775ed incontra i cinghiai per te combatta.



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